Thathari, su chimbe de Santu Gaine, duamizas e undighi
Unu sardu "honoris causa".
Dedicamus custu post a unu istudiosu
de Limbas - de Limbistica Istorica, in particulare - Giovanni Semerano, de su
cale amus già faeddadu in d'un'ateru post.
Podet essere cunsideradu "sardu
honoris causa" ca sos istudios suos subra s'origine sumero-accadica de sas
limbas ineuropeas at bettadu una lughe noa subra s'acculziu chi sa pius parte
de sos istudiosos ana cant'a sas origines de sa limba sarda.
In Sardignia, piusapprestu, s'est
fattu disacatu mannu subra custa rejone, ca s'acculziu est bistadu de amateurs, no meda iscientificu. Giovanni
Semerano dedicat a sa origine de sas limbas indeuropeas unu acculziu chi
nemmancu sos indeuropeistas ana. Ca, comente ischimus totu, s'indeuropeu ,
comente limba mama, mezus diat esser a narrere PIE - proto-indo-europeu, no est
mai esistidu, est una ipotesi de tribagliu, e nudda pius. Su chi naran proto-
indeuropeu est una recostruzione a taulinu de raighinas ipoteticas.
Cun totu su chi naran sos pagos
indoeuropeistas chi si sun leados sa briga de leggere a Semerano, s'istudiosu
Fiorentinu at abbertu jannas noas, ei sos indoeuropeistas sun bistados
indasegus e faghen finta chi Semerano no epat fattu una "rivoluzione"
in sa limbistica istorica.
Pro a nois est
unu grande sardu, ad honorem.
In sa fotografia: Giovanni Semerano (a manca) cun
Massimo Cacciari (a dresta). (foto: comune.firenze.it)
Sigomente nois amus leggidu e creimus a sa pius parte de sas cosas c'at iscrittu Semerano, inoghe cherimus dare onore a su tribagliu sou, a su contributu pro sa cumprensione de sas origines de sa limba sarda, e bos faghimus a leggere ite aiat iscrittu Umberto Galimberti in la Repubblica su 22 de Triulas 2005, a sa morte de custu illustre cantu pagu reconnoschidu dae sas accademias istudiosu.
Umberto Galimberti:
All´origine delle parole. Giovanni
Semerano
Tratto da “la Repubblica”, 22 luglio
2005
A 92 anni si è spento a Firenze
Giovanni Semerano. Per lui e per la nostra cultura mi auguro che, almeno dopo
la morte, egli abbia quel giusto riconoscimento che non ha avuto in vita perché
la sua tesi, circa l´origine accadica e non indiana delle lingue europee,
smontava un´antica tradizione e, con essa una gran quantità di studi, di
competenze, di libri, di cattedre, di potere. Allievo di Giorgio Pasquali e del
semiologo Giuseppe Forlani, di Giacomo Devoto e Bruno Migliorini, Semerano
incomincia la sua carriera a Firenze come professore di Latino e Greco al
liceo, ma la sua vera passione è l´etimologia delle parole, la cui ricerca
viene delusa troppe volte quando, consultando i dizionari etimologici che
sposano la tesi dell´origine indoeuropea delle nostre lingue, si trova di
fronte alle espressioni: etimologia sconosciuta, inconnue, ignorée, unbekannt,
unknown. Gli viene allora il sospetto che, assumendo come quadro di riferimento
la lingua accadica parlata nel Terzo millennio avanti Cristo in Anatolia,
Siria, Mesopotamia dai mercanti e dai sovrani nei loro epistolari con i faraoni
egiziani, quelle etimologie "sconosciute" cedono il loro segreto e in
particolar modo le etimologie delle parole inglesi e tedesche che hanno sempre
messo a dura prova il quadro di riferimento indoeuropeo. Per inseguire questa
sua ipotesi Semerano abbandona la cattedra di liceo e si trasferisce come
direttore prima alla Biblioteca Laurenziana di Firenze e poi alla Biblioteca
Nazionale dove rimane per trent´anni a costruire il suo capolavoro che ha per
titolo Le origini della cultura europea, in quattro volumi pubblicati da Leo
Olschki. I primi due (1984) con l´etimologia dei nomi di città e di persona,
gli altri due (1994) articolati in un dizionario etimologico rispettivamente
della lingua latina e della lingua greca, con il prosieguo nelle lingue
moderne: inglese, tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese. A Leo
Olschki Semerano giunse grazie a un incontro che risale agli anni Settanta con
Neppi Modona, ordinario di etruscologia all´università di Firenze, che aveva
appena pubblicato un libro su Cortona etrusca. A Neppi Modona, Semerano
raccontò, con la sua voce sommessa, che, su basi accadiche "Cortona"
voleva dire "terra", con riferimento all´etrusco "kurtun",
all´ebraico "keret", all´egizio "qart", alla città cretese
Gortina, all´italiano Crotone, al latino Cartago con quel finale
"ago" che significa "acqua" come si conveniva a Cartagine
che era un porto sul Mediterraneo. A proposito degli etruschi, dobbiamo sapere
che l´allora massima autorità in materia, Massimo Pallottino, sosteneva
l´indecifrabilità di quella scrittura, in quanto quella cultura aveva in
Toscana la sua origine senza altre derivazioni, nonostante Erodoto avesse
scritto nelle sue Storie che gli etruschi provenivano dalla Lidia in Anatolia.
Semerano partendo dall´accadico, decifrò quella scrittura, ma la sua scoperta,
per l´autorità di Pallottino, non ebbe alcun seguito e la scrittura etrusca
rimase inutilmente avvolta nel suo enigma. Verso la fine degli anni Settanta
Giovanni Spadolini, conosciuto Semerano, gli commissionò una ricerca
sull´etimologia della parola "Italia" che allora veniva resa come
"terra dei vitelli" da "vitulus" (vitello). Semerano
segnalò che la "i" di "vitulus" era breve, mentre la
"i" di "Italia" era lunga e perciò era presumibile che la
parola venisse dall´accadico "Atalu" che significa "terra del
tramonto", a cui corrispondeva la parola etrusca "hinthial" che
vuol dire "ombra". Fu allora che l´inviato in Italia del giornale
inglese The Guardian si incuriosì del personaggio e lo raggiunse a Firenze. Lo
intervistò uscendo poi con un titolo a tutta pagina: “An Italian Professor
Finds Accadian Roots Under the Linguistic Tree” (un professore italiano scopre
le radici accadiche sotto l´albero delle lingue). La notizia sconvolse il mondo
culturale anglosassone e lasciò indifferente quello italiano, ad eccezione
dell´assirologo Giovanni Pettinato che, in qualità di capo della spedizione
italiana in Siria, rinveniva ventimila tavolette della biblioteca di Ebla che,
opportunamente tradotte, confortavano l´ipotesi di Semerano, di cui Emanuele
Severino scrisse che “i suoi libri sono una festa dell´intelligenza”, mentre
Massimo Cacciari riconosce che “alle straordinarie ricerche di questo solitario
devo moltissime indicazioni per tutta la dimensione etimologica del mio libro
Arcipelago”. Ultimi suoi lavori sono L´infinito:
un equivoco millenario (2001)
e Il popolo che sconfisse la morte. Gli
Etruschi e la loro lingua (2003)
entrambi editi da Bruno Mondadori. Nel libro sull´infinito, che la sua
affettuosa amicizia ha voluto dedicarmi, Semerano dimostra che la parola di
Anassimandro: "Apeiron" che è poi la prima parola della filosofia
greca, e che come tutti sanno è nata in Asia Minore, non vuole dire
"infinito" o "indeterminato" come vogliono Platone e
Aristotele e, dopo di loro l´intera storia della filosofia, ma semplicemente
"terra", "polvere", "fango", dall´accadico
"eperu", vicino al semitico "apar", da cui l´ebraico
"aphar". Ma che succede se questa parola, a cui Heidegger in Germania
e Severino in Italia hanno dedicato splendide pagine, ha un significato così
modesto come modesta è l´acqua di Talete e l´aria di Anassimene pensate
rispettivamente come principio di tutte le cose? E che significa che gli enti,
come dice Anassimandro “pagano gli uni agli altri la giusta pena della loro
iniquità secondo l´ordine del tempo” se non che tutti originano dalla terra e
secondo l´ordine del tempo nella terra ritornano? Non c´è qui più affinità con
il motivo della cultura semita, dove il Creatore plasma il primo uomo con
l´"apar" con la polvere della terra e, dopo la maledizione divina, lo
condanna a dissolversi nell´"apar", nella polvere, di quanta non ce
ne sia con la tradizione filosofica che rende "apeiron" con
"infinito", "indeterminato" e con tutte le implicazioni
filosofiche che ne seguono? Qui gli esempi potrebbero continuare, ma noi ci
fermiamo per rivolgere ad Heidegger e a tanti filosofi e filologi quello che
Heidegger stesso chiedeva ai suoi predecessori: “Ma in che lingua traduce
l´Occidente?”. Semerano fa la sua proposta, perché non approfondirla anche se
dovesse far vacillare apparati culturali e soprattutto autorità e poteri consolidati
da quegli apparati? Semerano non ha potuto ottenere in vita il giusto
riconoscimento. Non neghiamoglielo dopo la morte, perché come lui stesso
scrisse: “Il futuro ha un cuore antico, e avviare un nuovo rapporto culturale
col remoto passato salda una nuova unità spirituale fra noi e i popoli
scomparsi che, come astri spenti, continuano a irradiare il lucente messaggio
che giunge sino a noi. A essi mancò il dovuto riconoscimento di essere stati
alle origini operanti sugli avvenimenti dei nostri destini”.
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